A Natale sono tutti più buoni.
È il prima e il dopo, che mi preoccupa
(Charles M. Schulz)
La bontà non è di moda. Anzi, in tempi di odiatori social, di aggressività, di caccia al nemico e al capro espiatorio, chi si mostra solidale e aperto verso il prossimo – soprattutto verso i diversi e i più deboli - rischia di venire considerato un remissivo, un vile, nella migliore delle ipotesi viene definito “buonista”. Questo termine è ormai entrato nel lessico popolare come sinonimo, anzi come sostituto, di “buono”. In senso spregiativo. Se non si è cattivi, si è buonisti.
C’è tuttavia un’eccezione: il periodo natalizio. Nelle pubblicità, nei negozi, sui manifesti, persino in rete, tornano per un breve periodo i sorrisi al posto dei bronci.
Dicembre è il mese delle luminarie, degli alberi addobbati, dei presepi, dei doni, ed è il mese in cui dobbiamo essere tutti buoni e scambiarci i regali. L’unico periodo in cui tutti – indistintamente – siamo felici di dare ospitalità a migranti mediorientali, una coppia con bambino in fuga dalla persecuzione nel proprio Paese.
Il Natale è la più importante ricorrenza nel calendario cristiano e – di conseguenza - nel calendario occidentale. Chi non attende con ansia il giorno in cui sistemare le statuine nel presepe, o tirare fuori l’albero, con tutte le sue decorazioni? Fare l’albero di Natale è considerato da molti un rito affascinante, così come restare a guardare, per ore, le sue lucine intermittenti alla sera, giocare a carte o a tombola, mangiare panettoni e pandori. Le feste natalizie coinvolgono persone di ogni confessione e non credenti, anche se magari non tutti fanno in casa il presepe e forse neppure l’albero di Natale.
Si dice spesso che il materialismo in cui viviamo ha trasformato questa festa in un rito pagano e commerciale dedicato alla falsa bontà, all’ipocrisia, agli acquisti frenetici, che il significato cristiano della festa diventa una finzione, non essendo sentito e vissuto intimamente. Se ne parla almeno dagli anni del boom economico, da quando il consumismo sfrenato ha iniziato a profanare lo spirito religioso della festa. Ma l’ipocrisia è sembrata divenire ancora più stridente negli ultimi anni, da quando – oltre alla profanazione consumistica – anche il rito dell’essere “buoni” a tutti i costi è entrato in forte contrasto con la propaganda che vuole alzare muri, chiudere porti, respingere e rifiutare stranieri e diversi.
Questi stridori, questi contrasti, ci ricordano però che - dopotutto - la tradizione dei regali, forse persino la stessa ricorrenza del Natale, non hanno in realtà un’origine cristiana, ma derivano proprio da un rito pagano.
La tradizione dei regali nacque con gli antichi romani, durante le celebrazioni dei Saturnali, il ciclo di festività in onore di Saturno, dio dell’agricoltura. Nella settimana più buia dell’anno, dal 17 al 24 dicembre, i romani si scambiavano come dono augurale i Lari, statuette che raffiguravano i defunti. Era un rito propiziatorio nel cuore dell’inverno, quando le giornate ricominciano ad allungarsi, per auspicare una nuova primavera di fertilità per la terra. Saturno era il dio dispensatore di doni che scendeva sulla terra nei giorni del solstizio d’inverno per poi ritornare nel suo mondo fino all’anno successivo. A lui risale la figura rituale del visitatore che arriva d’inverno per elargire doni e poi sparire il resto dell’anno, presente nel folklore di molti Paesi, e che viene identificato nei personaggi tradizionali di San Nicola e di Babbo Natale.
Molti aspetti del Natale ricordano i Saturnali, tant’è che secondo alcune teorie la Chiesa potrebbe aver fissato la natività di Cristo al 25 dicembre, proprio per sostituire le feste pagane: in effetti, della data del 25 dicembre come giorno della nascita di Gesù non c’è alcuna traccia nei Vangeli. Il cristianesimo ha poi associato la tradizione dei regali ai doni (oro, incenso e mirra) portati dai Re Magi a Gesù Bambino.
Dal secolo scorso il compito di distribuire doni è stato assunto dal personaggio vestito di rosso, con la barba bianca e il sacco dei regali sulla spalla, che viaggia volando sulla slitta trainata dalle renne, che conosciamo in alcuni Paesi europei come “Babbo Natale” (Father Christmas in Inghilterra, Père Noël in Francia, Papá Noel in Spagna) e che deriva dalla figura di San Nicola, Sint Nicolaas o Sinterklaas in olandese.
In molti Paesi la tradizione vuole che sia Sinterklaas a portare i regali, non a Natale ma nel giorno che gli dedica il calendario, il 6 dicembre.
Sinterklaas è vestito da vescovo, sulla testa ha una mitra rossa con una croce dorata e si appoggia ad un pastorale; arriva in piroscafo dalla Spagna ed è accompagnato dal fedele Zwarte Piet.
Ricordo che nel mio primo dicembre fiammingo, ormai 25 anni fa, rimasi piuttosto sconcertato nel vedere i bambini festeggiare l’arrivo dei loro doni con quasi tre settimane di anticipo, consegnati per giunta da un vescovo, anziché dalla figura familiare di Babbo Natale. A quell’epoca non avevo ancora figli, quindi l’impatto con la mia consuetudine familiare restò per fortuna limitato.
I primi coloni olandesi introdussero nel nuovo mondo la figura di San Nicola, di cui gli americani crearono poi un ibrido col Father Christmas inglese, spostandone quindi l’arrivo dal 6 dicembre al giorno di Natale, e chiamandolo Santa Claus, storpiatura dell’olandese Sinterklaas (e pronunciato all’americana: “Sèna Clòs”).
L’immagine delle renne deriva da un’altra tradizione, che fa di Santa Claus un personaggio proveniente dal nord Europa (se non addirittura dall’Artide). La renna era un animale sacro agli Scandinavi, associato alla Luna, e venne pertanto collegato a Santa Claus che giunge di notte coi doni.
Infine, un ruolo importante nella trasformazione di San Nicola nel moderno Babbo Natale spetta anche a Clement Moore, scrittore newyorkese, che nel 1823 rappresentò il santo come un grasso elfo, con la barba bianca, i vestiti rossi orlati di pelliccia, alla guida di una slitta trainata da renne e latore di un sacco pieno di giocattoli. Successivamente, la sua immagine venne diffusa e resa popolare dalla Coca Cola, che l’utilizzò per pubblicizzare la sua bevanda.
Ed è proprio al Santa Claus americano (anzi, a Sèna Clòs) che è legato uno dei primissimi ricordi della mia infanzia negli Stati Uniti, all’età di tre anni e mezzo.
Giocavo con mia sorella, sulla moquette della nostra camera. L’albero di Natale era di là, in sala, ma le sue lucine ci arrivavano dal corridoio, intermittenti e colorate, gialle, verdi, azzurre, rosse, poi ancora gialle, verdi, azzurre, rosse, gialle, verdi... A un certo punto sentimmo suonare alla porta, avrei voluto alzarmi per andare a vedere chi fosse, ma mia sorellina non voleva interrompere il gioco e mi trattenne, tanto mummy o daddy avrebbero aperto loro.
Infatti sentimmo aprire la porta, ma stranamente non si sentiva nessuno parlare, anzi no, delle voci basse che sussurravano, come se stessero confessando dei segreti, poi si sentì ancora la porta chiudersi e poi silenzio. Quando finalmente ci alzammo e corremmo di là dai genitori, trovammo sotto l’albero due scatole, una con un disegno che riconobbi subito, l’auto a pedali che avevo chiesto a Santa Claus. Sull’altra scatola era raffigurata la bambola che gli aveva chiesto mia sorella, quella che dà i baci quando le si aprono le braccia.
“È stato qui Sèna Clòs - ci disse la mamma – ha portato adesso i vostri regali perché doveva fare un giro molto lungo e non poteva più passare di qua. Quindi è venuto ora ma è scappato via subito, perché aveva ancora tanti regali da portare agli altri bambini”. Ci rimasi molto male. È tuttora vivido nella mia mente, dopo quasi sei decenni, il ricordo di quella sera e la mia rabbia, che per pochi secondi non incontrai Santa Claus in persona; anche se dei momenti successivi a quel mancato incontro con Babbo Natale esiste una fotografia che raffigura mia sorella e me, comunque felici coi nostri regali.
È tuttora vivida però anche l’emozione che mi travolse quando, due anni dopo, riuscii a riscattarmi e ad incontrare davvero Santa Claus, finalmente (in un grande magazzino, manco a dirlo). In quell’occasione, addirittura, Babbo Natale mi prese in braccio e posammo insieme per una foto ricordo.
Anche se dalla mia espressione in quella immagine non lo si direbbe, il mio cuore batteva a mille, mentre sedevo sulle ginocchia di Santa. Ero certo che anche per quel Natale, sicuramente, mi avrebbe portato dei bellissimi doni, tutti i regali che gli avevo chiesto nella mia letterina. Perché anche quell’anno avevo fatto il bravo, mi ero comportato bene.
Eh sì, io da bambino ero (quasi) sempre molto buono. Oggi, tutt’al più, mi capita a volte di essere solo buonista.
© Louis Petrella
Dicembre 2019
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