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Immagine del redattoreLouis Petrella

Si fa per ridere

Quante volte abbiamo sentito la frase “si fa per ridere”, pronunciata da chi aveva appena preso in giro qualcuno? A volte, quando si è in compagnia, viene l’impulso di dire battute, di provocare risate, anche a danno di altri, vittime più o meno consapevoli dell’ironia del burlone di turno. Poi spesso ci si rende conto, anche un attimo dopo, di avere forse esagerato, di avere magari offeso qualcuno e quindi ci si giustifica con la frase “si fa per ridere”. Se si fa per ridere, allora va bene. È tutto perdonato.


Quando Roberto Benigni, nei suoi monologhi ai tempi del governo di Berlusconi, faceva satira sull’allora Presidente del Consiglio, concludeva le battute con un “Silvio, si fa per ridere, eh!” tanto per mettere le mani avanti e scongiurare magari qualche querela per diffamazione. Per quanto, anche in quelle scuse dirette a Silvio si scorgeva una sottile e velata ironia, riguardo alla suscettibilità del personaggio (qualcuno forse ricorderà il cosiddetto “editto bulgaro” di Berlusconi, che escluse per anni Enzo Biagi, Michele Santoro e Daniele Luttazzi dalla televisione italiana). Ma se si fa per ridere, allora tutto è perdonato...

Ne siamo così sicuri?

Una risata vi seppellirà

I fatti di Parigi dello scorso gennaio, la strage compiuta dai fondamentalisti islamici alla redazione di Charlie Hebdo sembrano purtroppo negarlo. Quei fatti hanno suscitato un nuovo dibattito sul problema della libertà di satira, che peraltro è un problema vecchio quanto le società umane, perlomeno quanto lo sono quelle sottomesse al potere e alla prepotenza.

Infatti, mentre la tragedia ha origini nell’antica Grecia, la comicità – in quanto stile letterario – nasce invece sotto l’Impero Romano e le prime opere satiriche erano scritte in latino.

Nella democrazia ateniese il cittadino sceglieva, con piena responsabilità di decisione tra il bene e il male, e per le scelte sbagliate la colpa ricadeva su di lui: da qui il senso delle tragedie greche.

Roma invece era governata da un potere forte e centralizzato, che decideva del destino dei cittadini, ai quali non restava molto spazio di scelta. Ciò che era giusto o sbagliato veniva stabilito dal potere, e la trasgressione o il disaccordo erano puniti o emarginati. Si dovevano eseguire gli ordini come delle marionette, con scelte individuali ridotte o inesistenti e l’unica possibilità per i cittadini comuni era obbedire, comportarsi e agire – appunto - come marionette. La comicità nacque quindi come reazione del popolo, come sfogo all’imposizione di un comportamento omologato. Il personaggio comico era quello che non riusciva a realizzare il modello richiesto, “normale”. Oppure, che voleva a tutti costi impersonare il ruolo dettato dalla normalità, ma con risultati goffi e ridicoli. In questo caso era il modello stesso, quindi, quello del potere costituito, che veniva preso in giro.

Questo ruolo della comicità è rimasto pressocché invariato nei secoli. Chi non ricorda Charlie Chaplin nei panni del Grande Dittatore?

Un’altra frase storica legata al rapporto tra ironìa e potere, è la celebre "Una risata vi seppellirà". Questa frase ha avuto origine tra la fine dell'Ottocento e gli inizi del Novecento ed era lo sberleffo degli anarchici quando venivano arrestati. E' stata poi ripresa dai movimenti di protesta, sia nel 1968 che nel 1977. Il motto completo degli anarchici francesi recitava: «La fantasia distruggerà il potere e una risata vi seppellirà». Gli anarchici ponevano l'accento sulla prima parte, cioè sulla fantasia al potere capace di distruggere le vecchie regole della politica. Successivamente, la frase è stata rimaneggiata e usata per sbeffeggiare le forze dell'ordine durante gli arresti.

La risata quindi è stata utilizzata come espressione di complicità, in una vera e propria risata rivoluzionaria, con l’obiettivo di "infastidire il potere". Se ne deduce dunque che fantasia e allegria aiutano ad affrontare la vita, grazie al loro effetto liberatorio. Sono utili armi per affrontare i problemi e per proporre idee nuove.

Che ridere facesse bene lo avevamo intuito da tempo: lo sapevano i giullari, i buffoni di corte incaricati di divertire il re, gli unici autorizzati a sbeffeggiarlo pur di strappare un sorriso. La risata è l’espressione per eccellenza della gioia e della felicità. Lo dice pure un vecchio proverbio: ridere fa buon sangue.

Oggi la conferma ci arriva anche dalla scienza: ridere fa bene al cuore. La risata è un vero e proprio farmaco: stimola la produzione di ormoni come adrenalina e dopamina, che a loro volta liberano endorfine ed encefaline, in grado di migliorare l’efficienza del sistema immunitario. Sembra provato che le persone allegre vivano più a lungo.


Riso animale

Ma il dono dell’ilarità non è stato concesso solo all’uomo, come si credeva fino a poco tempo fa: anche gli animali ridono. Per molti anni si è pensato che riconoscere emozioni negli animali fosse solo una forma di antropomorfizzazione e anche la risata è stata ritenuta a lungo un’espressione esclusiva dell’uomo. Ma negli ultimi anni i ricercatori hanno dimostrato che anche gli animali provano emozioni e ridono (quasi) come noi. Certo, la conformazione dei muscoli facciali e delle corde vocali non permettono agli animali di farsi risate come gli umani, ma loro ridono quando sono felici e lo fanno con altri mezzi: muovendo la coda, girandosi vorticosamente, saltando, sguazzando nell'acqua (come i delfini).

La capacità di ridere precede, nello sviluppo cerebrale, quella di parlare; emerge molto presto nel neonato e probabilmente anche nell’evoluzione del cervello di altri mammiferi. I circuiti neurali della risata, infatti, si ritrovano in regioni “antiche” del cervello.

Chi ha un cane, sa benissimo come anche i nostri amici a quattro zampe sappiano ridere. Essendo l’uomo un animale sociale gregario esattamente come il cane, ed essendosi le due specie evolute insieme, hanno sviluppato un linguaggio comune. Non dovrebbe dunque sorprenderci che il cane sia in grado di provare ed esprimere le nostre stesse emozioni. Quindi anche i cani sono capaci di ridere: durante l’invito al gioco tirano indietro gli angoli della bocca mostrando la lingua, e appare sul viso un’espressione sorridente, spesso accompagnata da una particolare respirazione. L’ascolto di questo speciale ansimare provoca in altri cani (soprattutto nei cuccioli) l’istinto di prendere dei giocattoli o saltellare gioiosi verso un compagno, confermando così che la risata li spinge a cercare un momento di gioco e rinforza i comportamenti sociali.

Insomma, la risata trasmette emozioni positive e ha il potere di contagiare chiunque: crea un’interconnessione tra gli individui, a qualsiasi specie essi appartengano. Da qui nasce quell’impulso che dicevamo all’inizio, di fare gli spiritosi quando si sta in compagnia.


C’è ridere e ridere

Esistono però diverse gradazioni e modalità di ridere e sorridere. C’è il ridere “spontaneo”, che va dal sorriso sommesso della felicità e della gioia, alla risata allegra di buonumore, a quella comica e ironica, fino alla cattiveria del riso sarcastico e cinico. Poi c’è il ridere “indotto”, cioé l’invito e l’istigazione alla risata, e anch’esso può spaziare gradualmente dall’umorismo all’ironia, alla satira, sino a degenerare all’invettiva e all’offesa. Spesso i confini tra l’uno e l’altro di questi modelli di divertimento possono essere molto labili, relativi, impercettibili. È facile travalicarli senza accorgersene. Abbiamo già visto che anche gli animali ridono, ma la loro “risata” – a parte la manifestazione fisica e corporale, completamente diversa da quella umana – è sempre di gioia e allegria; mai ironica o sarcastica. Il nostro cane non riderà sicuramente se gli raccontiamo una barzelletta o se ci vede scivolare su una buccia di banana. Forse, nemmeno sorride per la gioia di vivere o per la felicità di avere noi e nessun altro come padrone. Ma di certo scodinzolerà e mugolerà di gioia se ci vede prendere la pallina per giocare con lui.

Anche tra le diverse culture umane, e tra i singoli individui, le differenze tra i modi di ridere sono enormi. Lo abbiamo visto in modo tragico all’inizio dell’anno, coi fatti già citati di Parigi e di Charlie Hebdo. Quello che è satira e pura ironia per gli uni, è vista invece come grave offesa e vilipendio da altri. O non è vista per niente. A parte rari casi di grandi talenti, l’ironia non è universale: l’umorismo inglese di solito lascia del tutto indifferenti gli italiani, così come la comicità italiana non è sempre apprezzata in America.

Anche all’interno di uno stesso Paese ci sono differenze. Molti italiani del nord, ad esempio, non amano la comicità di Totò, mentre i cabarettisti milanesi non sono così divertenti per gli italiani del sud. Ma in questi casi le differenze linguistiche e dialettali giocano un ruolo fondamentale, soprattutto in caso di ironia e umorismo verbale.

All’epoca del cinema muto il problema non si poneva, attori come Charlie Chaplin o Buster Keaton erano universalmente apprezzati, così come i comici odierni “volutamente” muti, i mimi alla Jacques Tati o quelli che si esprimono in linguaggi corporali o surreali, come Dario Fo e Mr. Bean.


Dalle comiche alla guerra

Una caratteristica della comicità è quella di essere piatta come un fumetto, mancando di profondità sia spaziale che psicologica. I personaggi comici non hanno un particolare background, non hanno storia né cultura. Spesso non hanno nemmeno una famiglia, li vediamo soli, o in coppia o magari con un cane. Sono solo marionette, e a volte si muovono anche come tali, come facevano Charlot o il primo Totò.

Le loro commedie sono, appunto, commedie, e non drammi o tragedie, i loro bisogni sono basilari (fame, sete, sonno) nulla di pù profondo. Dunque anche lo spazio è piatto, a due dimensioni. Ed è luminoso: se avete notato, la comicità non si sviluppa mai di notte, al buio. Non c’è mai oscurità in un film comico, ma sempre luce. Il buio potrebbe essere angosciante, mentre queste commedie servono solo per ridere, mai per spaventare o denunciare, non c’è alcuna “morale della favola” o utopia.

Eppure, per contraddizione, i comici ridono poco, e mai di se stessi. L’ilarità scaturisce solo se il comico vive in modo drammatico la propria situazione. Non si vedrà mai un personaggio comico divertirsi per essersi accorto del ridicolo in cui è caduto. Sarebbe una situazione “normale” e quindi perderebbe tutta la sua verve ed efficacia. Infatti, la comicità nasce proprio dal contrasto, dallo squilibrio tra ciò che ci si aspetta (“normale”) e ciò che sorprende, che è fuori luogo.

Lo stesso conflitto vale anche per l’abbigliamento, che deve esser ridicolo pur se elegante. I già citati Totò e Chaplin vestono con frac e bombetta, ma i pantaloni sono troppo corti, la giacca troppo stretta, gli stessi personaggi non si comportano come ci si aspetterebbe da chi veste così (l’abito fa il monaco, in realtà). Oliver Hardy, in bombetta e frac anche lui come l’amico Stan Laurel, gioca con la sua cravatta come se fosse un bambino.

Il livello più elementare di comicità è quello indotto dalla gag meccanica, fisica, gestuale, in cui si ride per il semplice gesto in sé; come scivolare su una buccia di banana, o mettere in testa un cappello al contrario. La gag narrativa nasce da equivoci e malintesi, si ride perché si segue una trama, come quando scopriamo alla fine l’esistenza di una comoda strada, dopo che Laurel e Hardy hanno faticato tutto il film per trasportare un pianoforte su una ripida scalinata. La gag psicologica, poi, gioca sui doppi sensi e sulle contraddizioni, fa sapere al pubblico ciò che il protagonista non sa, basata più sui dialoghi, in cui si ride per avere ascoltato e pensato; come in un dialogo in cui un interlocutore parla della propria mucca e l’altro è convinto che stia parlando della moglie, dialogo che va avanti a lungo senza che si chiarisca l’equivoco.

La piattezza e la bidimensionalità cominciano ad assumere spessore e volume man mano che dalla comicità procediamo verso l’umorismo e l’ironìa, che richiedono più riflessione e più profondità di pensiero. E siamo ancora alla risata innocente, neutra. Ma, come dicevamo, dall’ironia alla satira il passo può essere molto breve, quando si individua un oggetto, un obiettivo da prendere di mira, da deridere. Con conseguenze che, come abbiamo visto, possono essere drammaticamente gravi, sebbene involontarie e non cercate. La volontà invece di “far male” si esprime con molta chiarezza nel sarcasmo e nel cinismo, che cominciano a essere una dichiarazione di guerra, seppure sul piano della risata, o meglio del ghigno, con chiara volontà di lotta e di vittoria, col rischio di travalicare nell’invettiva e nell’odio.


Le risate degli italiani

E gli italiani sanno ridere? Si direbbe di sì, anzi sembrerebbe che gli italiani prendano tutto per ridere e niente sul serio. Berlusconi ha condito i suoi tanti anni di governo con barzellette, scenette e boutades per strappare risate e sorrisi, mentre celebri comici sono diventati trascinatori di folle e fondatori di movimenti politici, come Beppe Grillo. Inoltre tanti comici, così come tanti programmi di satira, sembrano oggi rappresentare forse un’opposizione e una critica più seguita e affidabile di tante altre opposizioni politiche cosiddette “serie”.

In realtà la risata italiana, ultimamente, più che da ironia e comicità pura, nasce soprattutto dallo scetticismo e dal cinismo, per colpa delle vicende politiche del Belpaese, che spesso superano la satira, rendendola inutile. Ad esempio, il personaggio inventato da Antonio Albanese, il politico corrotto e senza scrupoli Cetto La Qualunque, è diventato presto datato e superato dalla realtà, dai veri politici seduti nel parlamento o presenti nel governo. Le recenti cronache hanno rivelato una realtà ancora più grottesca e paradossale di quella ipotizzata da Albanese.

Anche l’imitazione fatta da Maurizio Crozza del senatore Antonio Razzi, passato con gran disinvoltura e opportunismo dall’Italia dei Valori di Di Pietro (centro-sinistra) alla destra di Berlusconi per interessi personali e per lucro (“Te lo dico da amico: pensa a farti la grana...”), è stata una “macchietta” ridicola ma di tale successo che lo stesso Razzi ha cominciato lui stesso a imitare la propria parodìa fatta da Crozza.


Si fa per ridere

La risata, o meglio il bisogno di ridere, esiste dunque in natura come espressione di gioia e felicità per un appagamento avvenuto o preannunciato e per condividerla, e in un modo o nell’altro la si trova in tutte le forme viventi. Nell’uomo, così come molti altri fenomeni della nostra specie, la risata si è sviluppata, evoluta e infine degenerata, seguendo lo stesso nostro percorso sociale e culturale. L’allegria, la comicità, l’umorismo, la satira, l’ironìa, sono emerse nella cultura umana nel corso dei secoli e da espressione ancestrale di emozioni e sentimenti si sono evolute a strumento di aggregazione sociale, ad arma di difesa e poi ad arma di offesa.

Sembra di seguire lo stesso percorso di altri campi della cultura umana, come la tecnologia che, dai primi utensili creati per la caccia e la pura sopravvivenza, si è evoluta nella fabbricazione di armi sempre più letali, per guerre sempre più micidiali e universali.

Persino uno sport così amato e popolare come il calcio ha subìto questa involuzione: da innocente gioco con la palla tra giovani spensierati si è ridotto in pochi decenni ad un business miliardario, pretesto di violenze, scandali e corruzione.

A proposito di corruzione, che dire della politica? L’organizzazione statale era sorta migliaia di anni fa per regolare la vita comunitaria di popolazioni che si erano stabilite in villaggi, dopo che il passaggio all’agricoltura e all’allevamento le aveva convertite da nomadi in stanziali. Da questo nobile intento iniziale, il governo delle prime comunità si è via via trasformato in fonte di privilegi, lotta di potere e di conquista, oppressione, sfruttamento, fino a ridursi alla politica che conosciamo, che non ha quasi più nulla della nobiltà originale. Tanto che oggi la classe politica, più che ordine e disciplina, fa ormai venire in mente piuttosto frode e disonestà.

Come a quell’automobilista che, mentre parcheggiava a Roma vicino a Montecitorio, al Vigile che gli diceva: “Scusi, non può lasciare qui la macchina, c’è il passaggio dei Deputati” rispose tranquillo: “La ringrazio, ma non c’è problema: sono assicurato contro il furto”.

Tengo a precisare, se ci fosse qualche politico che legge, che si fa per ridere!


©Louis Petrella

Giugno 2015

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