Nel precedente articolo ho anticipato che in questo numero mi sarei dedicato al terremoto nell’Italia centrale. Purtroppo l’argomento è tuttora attualissimo, mentre scrivo la terra continua ancora a tremare. Con oltre ventimila scosse negli ultimi due mesi non si può più parlare ormai di “un terremoto”, ma del vero e proprio spostamento di un intero territorio vasto oltre 1000 kmq, che coinvolge decine di migliaia di abitanti e un inestimabile patrimonio culturale e artistico che copre secoli di storia d’Italia.
È stato il terremoto più forte in Italia dal 1980, nonché il più esteso, interessando quattro regioni e cinque province (Macerata e Ascoli Piceno nelle Marche, Perugia in Umbria, L’Aquila in Abruzzo e Rieti nel Lazio) nel cuore degli Appennini.
Tutta l’area appenninica è in effetti classificata come la zona di maggiore pericolosità sismica in Europa: in queste regioni la crosta terrestre si lacera in continuazione, stretta e tirata com’è tra le due placche eurasiatica e africana. L'Appennino centrale è un inestricabile puzzle di faglie piccole e frastagliate ed è impossibile sapere se e quando tutti i pezzi avranno raggiunto una posizione di quiete.
Eppure, nonostante questa “spada di Damocle” incombente, nell’Appennino (e ancor meno nel resto d’Italia) non si è mai fatta prevenzione, si sono riparati i danni e ricostruiti gli edifici solo dopo che sono stati distrutti.
Tempo fa, sul “Caffé”, paragonavo gli italiani a ragazzi bisognosi di essere guidati e redarguiti dagli adulti, che purtroppo, più che i consigli e gli avvertimenti, capiscono soprattutto i castighi e le botte inferte per punizione. Anche dalla Natura. È il caso delle alluvioni, delle frane, che travolgono e piombano su case che non dovevano stare lì, degli straripamenti di fiumi costretti da argini innaturali. E spesso anche dei terremoti.
Il maggiore ostacolo da superare non è tecnico o economico, ma culturale, generale. La prevenzione antisismica dovrebbe diventare un’occupazione ordinaria, con un impegno continuo da parte di enti pubblici, imprese, cittadini, anche quando la prospettiva di un terremoto sembra lontana. Nonostante l’esperienza e le cronache, infatti, gli eventi naturali sembrano non riguardare mai il domani, ma un futuro lontano e incerto, che non ci interessa direttamente. E quando arrivano colgono sempre di sorpresa.
Non c'è domanda di prevenzione antisismica, nemmeno nelle aree a maggior rischio, non è un tema di dibattito in tempi normali, tanto meno in campagna elettorale. Di prevenzione antisismica si discute solo in occasione di terremoti. La politica non se ne interessa quanto dovrebbe, perché non è materia di consenso elettorale, non porta vantaggi immediati.
Quindi incolpare le autorità o i governi diventa un’operazione sterile, dal momento che non c'è soluzione di continuità tra cittadini e politica. La politica non è fatta solo di ministri e parlamentari, ma anche di sindaci, assessori, consiglieri locali che, come i comuni cittadini, vivono sperando e pregando.
Si spendono tanti soldi dopo, dopo la distruzione e dopo i morti. Ma col senno di poi ci si accorge che si sarebbe dovuto spendere prima, per l'adeguamento antisismico di case, ospedali, scuole. E anche di chiese e di beni storici. In un paese come l'Italia, con un patrimonio storico diffuso e dove praticamente ogni città e ogni paese ha edifici vecchi di secoli, non si può parlare di prevenzione antisismica trascurando edifici e beni storici. È un problema quindi che riguarda non solo la sicurezza ma anche la tutela del patrimonio e dell'identità dei luoghi e del paesaggio.
È ovvio che la soluzione definitiva dei terremoti sarebbe quella di impedirli; ma per adesso (e quasi certamente per sempre) quest’obiettivo sembra irraggiungibile, considerate le forze in gioco. L’unica soluzione realistica, alla nostra portata, resta quella della previsione e della prevenzione.
Prevedere un terremoto non vuol dire sapere in anticipo che in una certa località ci sarà un terremoto un certo giorno a una certa ora, di una certa intensità, cosicché la gente 📷possa fuggire in tempo per salvarsi: con le attuali conoscenze non è possibile, nulla è certo, né forse lo sarà mai.
Una previsione probabilistica, basata sullo studio di una particolare zona (ad esempio sui sismi del passato, sulla sua geologia) ci consente almento di predire per quell'area l'intensità massima e la frequenza dei terremoti che possiamo attenderci e quindi definirne la pericolosità sismica.
C’è peraltro un’attenuante all’ ”infantilismo” italico a cui accennavamo: purtroppo non ci sono sufficienti risorse per raccogliere i dati necessari alla pianificazione e al governo del territorio, e per agire di conseguenza. Prevedere i terremoti e prevenirne i danni presuppone la messa in campo di iniziative tanto politiche quanto amministrative e tecniche. Studiare la sismicità e individuare le zone in cui possono verificarsi i terremoti, con quale forza e frequenza, avviare le opere di risanamento e di adeguamento antisismico, studiare la geologia e la struttura del territorio per prevenire le frane: per fare tutto questo serve molto personale, servono molti più geologi. In Italia ce ne sono troppo pochi, mentre la loro presenza sarebbe indispensabile in ogni comune.
Gli ingegneri edili sono anche una figura chiave per la prevenzione, perché sono necessari interventi sul costruito per censire il patrimonio edilizio e lo stato di conservazione, in alcuni casi demolendo e ricostruendo, salvaguardando l’arte e la grande architettura. Va poi svolta una seria riqualificazione urbana, obbligando l’adozione del "fascicolo di fabbricato", un documento che contiene tutte le informazioni tecniche relative a un edificio e agli interventi che ha subìto, per poterlo classificare e avere un programma di controlli. Un’automobile deve avere per legge il suo libretto di manutenzione, una carta di circolazione che ne attesti la regolarità e la sicurezza di uso. Invece quando compriamo una casa, la compriamo in pratica alla “cieca”, non ci preoccupiamo della sua qualità e di come è stata costruita, non sappiamo veramente dove abitiamo.
Per una visione a lungo termine è poi necessario anche adeguare le norme tecniche ed investire nella ricerca di materiali da costruzione più adatti e di tecnologie più avanzate e sicure. E infine, abbandonando le vecchie scaramanzie italiche, bisogna addestrare la popolazione per l'emergenza, come fanno in Giappone, anziché vivere alla giornata.
A proposito di Giappone: molti fanno il confronto tra l'impreparazione italiana e la competenza giapponese o di altri luoghi, come California o Nuova Zelanda, dove terremoti di gravità maggiore di quelli italiani fanno spesso danni molto ridotti e molte meno vittime. Le tecniche di prevenzione adottate in questi paesi sono sicuramente efficaci, molto più che in Italia. Ma non dimentichiamo la diversità e la particolarità del contesto italiano, del suo patrimonio storico delicato, antico e diffuso, nelle città, nei paesi e nelle campagne. Un patrimonio storico che non consiste soltanto in quelli che chiamiamo "monumenti", ma costituisce il corpo di intere città e paesi. Peraltro va detto che molti edifici antichi hanno dimostrato di saper reggere la forza di un terremoto meglio di strutture più recenti (in quante foto si vedono campanili medievali svettare ancora imperterriti, sopra cumuli di macerie?) e che a volte sono stati indeboliti proprio da ristrutturazioni che hanno impiegato materiali moderni. Le tecnologie antisismiche più avanzate, come quelle usate in Giappone e negli Stati Uniti, sono ottime ma poco adatte nei centri storici italiani, perché molto costose e invasive. E visto il numero di interventi di cui parliamo, per rafforzare gli edifici più vecchi a rischio sismico è meglio usare tecniche tradizionali, meno care e più veloci.
Ad ogni modo, in molte parti d’Italia il rischio sismico si unisce al dissesto idrogeologico e all'abusivismo edilizio. Ogni disastro naturale è una combinazione di due fattori principali che sono la pericolosità e la vulnerabilità. La pericolosità è determinata dai rischi naturali (terremoti, eruzioni vulcaniche, uragani...), indipendentemente dalla presenza umana. La vulnerabilità è invece più complessa ed è determinata dagli interventi umani, dalla densità di popolazione, dalla capacità dell’uomo di modificare l'ambiente e di rendere più fragile il suo equilibrio. Per esempio erosioni del suolo, alluvioni e frane sono fenomeni naturali che vengono però accelerati ed intensificati quando l'uomo interviene in modo indiscriminato e irrazionale (come i disboscamenti, l’impermeabilizzazione del suolo, le costruzioni ostruttive, eccetera). Ma anche i “non-interventi”, come la mancanza di previsione, prevenzione, informazione o di piani di evacuazione, possono accrescere la vulnerabilità dell'ambiente.
Senza contare infine i casi estremi di criminalità e corruzione, come le frodi compiute su costruzioni eseguite con materiale scadente, o i soldi intascati per lavori mai svolti: si tratta di reati che vanno perseguiti dalla Giustizia, così come tanti altri crimini compiuti dove gira molto denaro.
Dunque eventi come terremoti, alluvioni o frane non possono essere considerati né come castigo divino, né come episodi eccezionali, ma come fenomeni normali per un Paese con una particolare struttura geologica, caratterizzato non solo dall'assenza di manutenzione ordinaria dell'ambiente naturale e costruito, ma anche dall'uso indiscriminato dell'ambiente stesso. Fenomeni favoriti quindi dalla mancanza di una visione di futuro, da quella miopìa a cui accennavo anche nel mio articolo sugli “italo-adolescenti”.
Oltre a una visione di futuro, sarebbe necessario anche un maggior rispetto per il passato. Dicevamo dei geologi e dei tecnici che mancano in Italia. Ma ci vorrebbero anche più esperti d’arte, più personale qualificato alle Soprintendenze artistiche che censisca tutti i beni di cui è ricca l’Italia. Di molti beni distrutti dal sisma non esistono più schede o testimonianze che possano renderne possibile la ricostruzione o persino il ricordo.
Centinaia di vite umane sradicate e spezzate prematuramente costituiscono già un’immane tragedia e una ferita inguaribile. L’unico omaggio che possiamo ancora rendere a quelle vittime è di almeno non disperderne la memoria e la cultura.
Il territorio coinvolto nel terremoto è una parte fondamentale dell’identità italiana, insieme alla sua arte e ai suoi monumenti. Non può cadere nell’oblìo, dobbiamo salvare le comunità, i paesi, la loro arte e la loro storia. Dobbiamo mettere in sicurezza quel patrimonio, prima che altre scosse lo rendano irrecuperabile: non vorremmo tremare al pensiero di veder cancellate per sempre le testimonianze della nostra civiltà e della nostra cultura. A tremare, fin troppo, c’è già la terra.
© Louis Petrella
Dicembre 2016
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