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Immagine del redattoreLouis Petrella

Saper invecchiare

“Saper invecchiare” (Savoir vieillir nell’originale francese) è il titolo di una poesia di François Fabié del 1912. Si tratta di un invito - a chi ha superato una certa età - ad accettare e ammettere a se stessi di invecchiare, a conformarsi e adattarsi alla nuova vita di quella che viene definita “vecchiaia” oppure, per addolcirne un po’ il sapore, “terza età”. I cui esponenti vengono chiamati vecchi, anziani, o – più eufemisticamente - senior, in alcuni casi over X, dove X rappresenta un’età, normalmente 60 o 65 a seconda del contesto, anche se definire un’età precisa nel diventare vecchi è improprio: l'ingresso nella terza età è lento e graduale e varia molto tra individui e tra comunità.


È un fenomeno che non viene percepito appieno perché spesso – se si esclude il momento del pensionamento - si tratta di un processo graduale, di una lunga e lenta dissolvenza. Molte attività che svolgiamo da giovani e adulti lentamente svaniscono, e anche il corpo si trasforma: non riusciamo più a salire le scale di corsa, i capelli si diradano e ingrigiscono, la pelle perde elasticità e compaiono sempre più rughe, la vista si indebolisce, ci colpiscono piccoli acciacchi, prima il ginocchio, poi la caviglia, poi la schiena, uno dopo l’altro finché alla fine non funziona quasi più niente.


Diventare “vecchi” è un po’ come diventare “grandi”: la vecchiaia è simmetrica alla giovinezza, è un cammino graduale, una salita, dopo che il cammino dell’adolescenza era stato in discesa. La vita è infatti come l’attraversamento di una vallata, da una cresta all’altra. Nasciamo sulla prima cresta, non abbiamo alcun passato alle spalle, nessun riferimento di vita vissuta dietro di noi, mentre giù davanti c’è una grande vallata da raggiungere, uno splendido paesaggio di sogni, progetti e avventure da vivere. Ci incamminiamo in discesa verso il fondovalle, siamo leggeri, incuriositi, un po’ spaventati, ogni esperienza rappresenta una novità, una primizia, ci fa sgranare gli occhi per l’emozione. Ogni canzone che cantiamo riverbera un’eco lì davanti, in lontananza, che ci fa mille promesse.

Nel fondovalle siamo alle prese con tante sfide, fiumi da guadare, boschi da attraversare, forse prede da catturare e predatori da cui sfuggire, comunque sempre impegnati ad andare avanti.

Poi a un certo punto si ricomincia a salire sul versante opposto e il cammino diventa faticoso. Lungo la salita verso la cresta opposta non vediamo più davanti a noi sogni da realizzare né progetti da intraprendere, ma solo una faticosa scarpinata che ci aspetta; voltandoci indietro possiamo invece vedere laggiù nella valle tutte le esperienze passate, alcune ormai appena visibili in lontananza. Tutto il bagaglio della nostra vita è là dietro, da contemplare alle nostre spalle, anche se molto si è perso per strada. Da lontano non distinguiamo più i colori e i profumi che percepivamo allora, al nostro passaggio. I nostri canti non hanno più eco e si spengono una volta per tutte, giunti in cima alla cresta finale.

Nell’ultima parte della vita ci si trova dunque in condizioni un po’ simili a quelle dell’adolescenza. Una volta in pensione, cessato il contributo attivo alla società, rimane molto tempo a disposizione. Ci si sente forti per quanto si è imparato e capito della vita, forti come un adolescente nel pieno del proprio vigore. Ma dall’altra parte ci si sente troppo deboli per le prossime sfide da affrontare. Si ha paura della solitudine in cui ci si ritrova e dei cambiamenti fuori controllo, soprattutto di quelli che avvengono nel proprio corpo: mentre gli adolescenti assistono con turbamento al proprio sviluppo fisico, gli anziani vivono con analoga angoscia il loro progressivo deperimento fisiologico.

Gli adolescenti cercano l’approvazione altrui per trovare la propria identità e accettare se stessi; ma si cerca un’approvazione anche da anziani, per continuare ad avere ancora un ruolo nella vita e non sentirsi come foglie secche, staccate dal ramo, senza più obblighi o incarichi, come quelli di far circolare la linfa o procurare ombra. Foglie secche libere di svolazzare a ogni folata di vento, ma che prima o poi finiscono a terra calpestate insieme alle altre foglie ingiallite.


Un tappeto di foglie morte è peraltro uno splendido spettacolo da ammirare: i colori più belli che ci offre la natura sono proprio quelli dell’autunno, del crepuscolo della vita. Un crepuscolo che può riservare ancora tante gioie ed emozioni, anche perché l’autunno dei nuovi anziani, dei “baby boomers” nati negli anni ‘50 e ‘60, sta diventando sempre più lungo e tutto da esplorare: i progressi della tecnologia e della medicina e il miglioramento degli stili di vita hanno aumentato l’età media e posticipato l’inizio della vecchiaia. La terza età si sta trasformando in un grande “territorio” nuovo e sconosciuto, mai vissuto prima, ricco di nuove opportunità.

Fabié ha scritto la sua poesia agli inizi del Novecento, altri tempi, quando si invecchiava molto prima di oggi, e forse molti tra coloro che si identificavano in quei versi non avevano ancora compiuto sessant’anni. Fino a un po’ di tempo fa si diventava “vecchi” tra i 60 e i 65 anni, la vita media era più breve di oggi e si moriva generalmente prima, spesso poco dopo aver varcato la soglia della pensione; si diventava anche nonni molto prima di oggi, si invecchiava un po’ e si scivolava via dalla vita poco a poco, senza resistenza, con naturalezza.

Ancora oggi l’ingresso nella terza età viene solitamente considerato a 65 anni, ma tenendo conto dell’allungamento medio della vita (la speranza di vita in Italia è oggi di 85 anni per le donne e 82 per gli uomini), il concetto di vecchiaia andrebbe rivisto, spostandone forse l’inizio almeno al raggiungimento dei 70 anni, se non oltre.

I progressi della medicina si intrecciano tra l’altro con il miglioramento delle condizioni economiche e sociali, almeno in Occidente, contribuendo al generale miglioramento della salute degli anziani. Con l’allungamento della vita e il calo delle nascite, presto i “senior” saranno maggioranza nella popolazione: già oggi il 24 percento degli italiani ha più di 65 anni (la metà dei quali ha già passato anche i 75) e ha ormai superato numericamente la fascia degli “under 25”. Per questo parlavamo della terza età come di un territorio nuovo da esplorare, ricco di opportunità: i nuovi anziani dovranno “reinventare” se stessi, coalizzarsi per provare a ridisegnare la società, in particolare per quanto riguarda il welfare e gli stili di vita.


Invecchiare non è infatti solo una questione fisica, ma anche e soprattutto mentale. L’ingresso nella terza età viene accompagnato da profondi cambiamenti psicologici: molti eventi si verificano durante la vecchiaia, passaggi quasi obbligati - come il pensionamento - che comportano forti adattamenti, almeno finché non verranno definiti nuovi modelli sociali, dal sistema produttivo a quello pensionistico, passando per l’assistenza sanitaria e la creazione di nuove opportunità di lavoro e di riqualificazione.

Una volta in pensione, le spese iniziano spesso a concentrarsi sui beni alimentari e sull’assistenza medica, precludendo così la possibilità per molti anziani di coltivare hobby e compensare emotivamente il ritiro dall’attività produttiva. Si riducono le opportunità di contatto sociale e di comunicazione, anche perché a poco a poco vengono a mancare amici, compagni, persone frequentate per tutta la vita. La perdita della propria rete sociale è fonte di profonda solitudine, sia reale (restando soli fisicamente) sia psicologica (sentendosi soli in mezzo agli altri), col rischio quindi che alle difficoltà fisiche e sociali si aggiungano appunto quelle emotive.

Nell’ultimo versante della valle della vita si riducono anche il tempo e le energie a disposizione, e la visione del futuro lascia spazio a riflessioni sul passato. È tempo di bilanci, si volge lo sguardo indietro a rivedere le scelte di vita compiute: per vivere serenamente l’ultimo tratto di strada è importante poter giudicare positivamente il proprio percorso di vita, ciò che si è riusciti a realizzare. E per dare un senso al proprio vissuto, ad una certa età viene consigliato di scrivere una sorta di autobiografia, non tanto per pubblicarla o farla leggere a qualcuno, ma per se stessi, per cercare una narrazione lineare nella propria vita e collegare tutti gli eventi vissuti ad un obiettivo.


I versi di Fabié esortavano dunque ad accettare la vecchiaia, rinunciando a ciò che una volta si riusciva a ottenere facilmente. Rassegnandosi a vivere in disparte, presso la riva del fiume, evitando i flutti tra cui si amava nuotare. In questo consisteva, per lui, il “saper invecchiare”. Oggi, comunque, “saper” invecchiare potrebbe anche significare il contrario, ribellarsi cioè agli stereotipi che vedono negli anziani solo persone fragili e deboli (come nella campagna vaccinale) senza più energia né passioni. Eppure ci sono stati e ci sono tuttora validissimi capi di Stato, artisti, scienziati, pontefici e persone comuni ultrasettantenni e anche ultraottantenni, che hanno avuto successo laddove giovani quarantenni hanno fallito. Non è necessario avere ruoli di responsabilità per avere successo e gratificazione nella terza età: è possibile per tutti affrontare una vecchiaia positiva, concentrandosi forse su meno attività ma sempre con passione ed energia. Con un invecchiamento attivo gli anziani possono continuare a impegnarsi ed essere utili alla società anche dopo l’uscita dal mondo del lavoro. Sempre più “senior” svolgono attività di volontariato, coltivano hobby creativi, frequentano palestre e circoli culturali, scuole e corsi come quelli dell’Università della Terza Età; tutte attività che, pur non prevedendo una retribuzione economica, mantengono viva la curiosità intellettuale e aumentano l’autostima e la fiducia in sé. D’altronde, qualcuno disse che si resta sempre giovani, finché si continua ad essere curiosi e ad imparare.


Con internet e i social media è facile la tentazione per un anziano di mescolarsi ai flutti di cui parlava Fabié, nascondersi e mimetizzarsi con l’invisibile folla della rete ancora immersa nella vita, anziché tirarsi in disparte e scomparire dalla scena pubblica, come accadeva agli anziani di ieri, confinati nelle cucine e nelle loro stanze a guardare la tv e a giocare a carte.

La mia è in effetti la prima generazione che invecchia online, che cerca di destreggiarsi tra le app e di stare a galla sui social anche se spesso non riesce più a tenersi aggiornata sui gusti e sulle mode; si postano vecchie foto di anni prima, invece di quelle attuali con rughe e capelli grigi, mentre i “like” diminuiscono sempre più col tempo, finché un bel giorno non si sparisce dai radar della rete o non si finisce comunque del tutto dimenticati.

Si tratta peraltro della stessa generazione del “Sessantotto”, quella che mezzo secolo fa voleva sovvertire il mondo, si ribellava alla tradizione repressiva dei padri, e attraverso la rivoluzione hippy e flower power protestava contro il conformismo dei “matusa” e sognava una nuova società libera e alternativa. La stessa generazione che oggi, con l’allungamento della vita e della vecchiaia, viene spesso incolpata di togliere spazio e opportunità ai giovani, di non voler “alzarsi da tavola” per cedere il posto a chi sta aspettando il proprio turno.


Ma a tavola dovrebbero potersi sedere tutti, quanto più a lungo possibile: le generazioni non devono susseguirsi come corridori di una staffetta, passare il testimone e sparire: devono accavallarsi per avere il tempo di scambiarsi tutto ciò che serve agli uni e agli altri. Anche Fabié invitava i vecchi ad amare i giovani, così come si amavano i fiori e come si amava la speranza, restando vicini a loro e frequentandoli. È un invito valido ancora oggi: lo scambio tra diverse generazioni aiuta gli anziani a stare al passo coi tempi e permette loro di vivere più a lungo, nonché di trasmettere alle nuove generazioni tutte le esperienze e le conoscenze accumulate, che altrimenti rischierebbero di andare perdute per sempre.

Tornando alla metafora della vallata, dopo la salita verso la cresta finale, il cammino riprende con un’altra discesa verso la valle successiva, una nuova tappa della vita che ricomincia però con nuovi personaggi. Chi è appena salito renderebbe il suo ultimo tratto di strada fecondo e utile per chi si appresta a scendere, se potesse consegnargli una mappa del territorio per orientarsi meglio. Dopotutto non è importante solo saper invecchiare ma anche, prima ancora, saper vivere.


© Louis Petrella

Settembre 2023

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