top of page

SEMPRE LA STESSA STORIA

The history book on the shelf

is always repeating itself


I lettori avranno probabilmente riconosciuto nelle righe precedenti due versi di “Waterloo”, la celebre canzone degli ABBA vincitrice dell’Eurovision Song Contest nel 1974. Una libera traduzione in italiano suonerebbe più o meno così:


Il libro di Storia sullo scaffale

si ripete sempre tale e quale


A cosa si riferiva il titolo del brano del quartetto svedese? Al nome della località belga dove Napoleone subì nel 1815 una pesante sconfitta che lo portò alla resa e all’esilio finale nell’isola di Sant’Elena. Lo smacco patito delle truppe di Bonaparte fu tale che il termine “Waterloo” è poi entrato nell’uso come sinonimo di “disfatta catastrofica”. Un po’ come è accaduto in italiano con la parola “Caporetto”, località dove un secolo dopo, nel 1917, l’esercito italiano subì una disastrosa sconfitta contro gli austro-ungarici, nel corso della Prima Guerra Mondiale.

Quindi gli ABBA avevano forse ragione: la Storia si ripete sempre?


Un paio di mesi fa ho iniziato a collaborare con la rivista online romana “RMagazine.it”. Mi è stato offerto lo spazio per una mia rubrica, che ho deciso di chiamare “Specchietto retrovisore”, e il mio primo articolo si è incentrato sul significato di questo titolo. L’intento della rubrica è condividere delle riflessioni su quanto succede attorno a noi nella società attuale, un po’ come cerco di fare anche coi lettori del “Caffé”. E cosa c’è di meglio di uno specchio, per riflettere? In particolare, quello retrovisore non serve per specchiarci noi stessi, narcisisticamente (sebbene qualcuno lo faccia, al semaforo). No, vi si riflette ciò che sta vicino a noi, in modo che possiamo guardarci attorno. Dietro, alle nostre spalle, ma anche di lato, per vedere quello che avviene accanto. Solo così saremo in grado di capire, ingranare la marcia e muoverci. Possibilmente in avanti.

Il retrovisore ci serve soprattutto in manovra, quando svoltiamo, quando vogliamo o dobbiamo cambiare direzione. I momenti di svolta, come quello che stiamo attraversando, richiedono uno sguardo attento sullo specchietto retrovisore. Mai come oggi ne abbiamo tanto bisogno per sapere dove e come andare, senza far danni, senza andare a sbattere.

La parola “retro-visore” significa “che fa vedere dietro”. Uno strumento importante dunque, indispensabile per guardarsi alle spalle. Guardarsi alle spalle significa anche comprendere da dove veniamo e come siamo arrivati fin qui, conoscere la propria storia. Sebbene oggi la Storia non sia più tanto di moda: non so nemmeno se e quanto venga ancora studiata nelle scuole. Ma ha ancora senso oggi studiare la Storia? La Storia può essere ancora considerata “maestra di vita”, come scriveva Cicerone?

Col bombardamento disordinato di tweet e post, di notizie vere e false, di informazioni che si susseguono e si accumulano in tempo reale, senza mediazione e senza analisi, i giovani oggi vivono in un presente assordante, ingombrante, senza memoria del passato e senza nemmeno grandi prospettive per il futuro. Come evolverà la nostra società, come andrà avanti la nostra storia, non è dato sapere. È possibile una decadenza sociale, che coinvolga anche la narrazione storica, facendoci ripiombare in epoche buie?


Riguardo alle notizie vere e false, non dimentichiamo che la Storia viene sempre scritta dai vincitori, ed è stata sempre infarcita di falsità, di menzogne, di “fake news”: le bufale non sono un fenomeno nato oggi.

Le certezze granitiche sono quindi pericolose. Bertrand Russell diceva che “il problema dell’umanità è che gli stupidi e i fanatici sono sempre sicuri di sé, mentre i saggi sono pieni di dubbi”. Occorre dunque recuperare il valore del dubbio. Studiare la storia per conoscere il passato, per interpretare e capire il presente e per progettare il futuro, ma valutare i fatti con obiettività e spirito critico. La verità è complessa, come la società d’altronde, non esistono scorciatoie e semplificazioni, dualismi bianco-nero, vero-falso, giusto-sbagliato. La Brexit ce lo insegna.

A proposito di Brexit e di geopolitica, molti sostengono che i tempi attuali ricordano quelli della repubblica di Weimar, gli anni ’20 e ’30 del secolo scorso, quelli che precedettero la catastrofe della Seconda Guerra Mondiale, con la crisi economica e le spinte populiste e nazionaliste di allora. Altri ribattono che non è vero, che le condizioni sono diverse, così come lo scenario internazionale, con le comunicazioni in tempo reale e la globalizzazione.

Sono veri entrambi punti di vista. Le epoche storiche non sono un “copia e incolla”, non sono fotocopie di eventi originari, riprodotti in tanti esemplari, tutti uguali. I progressi culturali, scientifici e tecnologici trasformano di continuo il mondo, vestono i personaggi di abiti nuovi e li dotano di strumenti nuovi, che rendono irriconoscibili le analogie.

Cicerone scriveva quello che scriveva perché la storia di Roma e Atene serviva a giudicare il presente finché si credeva che la natura – umana e non – fosse una e immutabile. Ma poi le grandi scoperte geografiche dimostrarono che il mondo era molto più grande di quanto si pensasse, e la lezione della civiltà greco-romana smise così di esprimere valori e verità universali.


Conoscere il passato non è dunque di per sé una garanzia, non preserva automaticamente dagli errori, non ci assicura che faremo sempre le scelte giuste. Anche perché scelte giuste in assoluto non ne esistono, gli interessi degli uni non coincidono con quelli degli altri. La Storia insegna comunque a vivere meglio il presente, anche se molto è cambiato e i dettagli sono differenti. Studiarla è un po’ come imparare a nuotare o ad andare in bicicletta: dobbiamo osservare per apprendere, ma non basta guardare gli altri farlo, per sapere come si fa. Bisogna buttarsi in acqua, saltare in bici, fallire, cadere, annaspare, sbucciarsi le ginocchia...

Si deve imparare la Storia così come si impara a leggere e a scrivere. Saper scrivere non ci fa diventare automaticamente bravi scrittori, se non abbiamo contenuti da condividere. E tuttavia oggi non si può vivere senza saper leggere o scrivere, fa parte della nostra essenza culturale, del nostro essere umani. La Storia di una società ne svela l’identità, tanto quanto una vita personale la definisce per un individuo: un popolo che non conosce il proprio passato è come una persona che ha perso la memoria, che soffre di amnesìa, che non sa più chi è. Rifacendomi ancora al nome di quella mia rubrica, conoscere la Storia è dunque anche un po’ guardarsi allo specchio, magari anche in quello retrovisore (purché fermi al semaforo). Ci riconosciamo sempre, anche se cambiamo ogni giorno, e notiamo sul nostro volto i segni della quotidianità, le occhiaie della stanchezza o il vigore delle giornate migliori.

Anche se non sempre ci insegna dunque a evitare gli stessi errori, la Storia ci educa comunque alla critica, alla civiltà, sviluppa le coscienze, rende più responsabili moralmente, e anche politicamente, di fronte alla società. Le conoscenze storiche ci invitano infatti a riflettere e a dialogare con tante altre discipline che hanno a che fare con l’Uomo: antropologia, etnologia, geografia, demografia, sociologia, economia, psicologia... Ogni evento, naturale o sociale, è causato da altri eventi precedenti e a sua volta ne provoca altri, in una catena infinita. Impariamo così a conoscere le connessioni che esistono tra le vicende umane. E non si tratta solo di aride liste cronologiche di avvenimenti del passato: fa parte della Storia anche quello che viviamo oggi, quello che ci succede attorno mentre siamo impegnati a vivere le nostre vite. La possiamo chiamare “attualità”, “politica”, oppure “cronaca”, ma presto diventeranno “Storia” anche vicende di oggi che il più delle volte ci sfuggono e di cui non ci rendiamo conto.


Dicevo prima di non sapere se e quanto la Storia venga ancora insegnata a scuola. Ma spesso i giovani, anziché studiarla, la Storia la fanno. La sedicenne svedese Greta Thunberg, l’attivista degli scioperi per il clima di cui ho parlato nell’ultimo numero, è salita alla ribalta in pochi mesi, invitata alle Nazioni Unite, al Parlamento Europeo, da Papa Francesco; ha mobilitato maree di giovani studenti in tutto il mondo, gli attivisti di #FridaysForFuture, giovani che intendono impossessarsi del loro mondo in anticipo, nel timore che gli adulti non siano più in grado di lasciarglielo integro. E non parliamo solo di clima e ambiente: la quindicenne pakistana Malala Yousafzai subì nel 2012 un grave attentato dai talebani, diventando da allora paladina per la libertà di pensiero e per il diritto all’istruzione di tutti i bambini, ricevendo il Premio Nobel per la Pace a soli 17 anni.

Anche in Italia giovani adolescenti si sono resi di recente protagonisti di eventi di cronaca. Come i tredicenni di Crema, Rami e Adam – nati in Italia ma senza cittadinanza italiana – che con prontezza d’animo hanno salvato la vita dei compagni minacciati dal gesto folle dell’autista del loro scuolabus. O come il quindicenne Simone di Torre Maura che con abile dialettica ha tenuto testa agli attivisti di Casapound, che manifestavano contro un insediamento di Rom, diventando un simbolo di umanità e accoglienza. Casi di cronaca, certo, magari di portata limitata, ma... chissà. Forse parlarne così tanto può avere influenzato qualche coscienza, può avere influito in parte sull’opinione pubblica e sulla società. Eventi di questo tipo, anche se circoscritti, possono a poco a poco indirizzare un’intera società, generare impercettibili ma decisi cambiamenti di rotta, capaci di risolversi in svolte di portata storica. È già successo. Spesso nella Storia sono stati gesti isolati, compiuti da singoli individui, a provocare guerre, rivoluzioni, insurrezioni, rinnovamenti sociali e culturali.


Trent’anni fa Raf cantava “Cosa resterà di questi anni 80”, citando eventi pubblici (effetto serra, Reagan, Gorbaciov, la fame nel mondo...) e privati (libri di scuola, amori...) di quegli anni. Oggi non abbiamo più né Reagan, né Gorbaciov, forse nemmeno più i libri di scuola. Ma abbiamo Trump, Putin, e tante altre questioni aperte, le stesse elencate da Raf o molto simili. In effetti, un brano del genere potrebbe uscire a ogni decennio, con qualche novità e molte ripetizioni, anche se non è sempre facile capire cosa resterà davvero dei nostri anni, cosa andrà a finire su quel libro, là sullo scaffale degli ABBA.

Quel libro che ripete continuamente se stesso. Perché alla fine, in fondo, si tratta sempre della stessa Storia.


© Louis Petrella

Giugno 2019

52 visualizzazioni0 commenti

Post recenti

Mostra tutti

Emozioni

bottom of page