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Tutto e niente

Negli anni ’80 ho studiato al Politecnico di Milano. Dopo un paio d’anni alla facoltà di Ingegneria sono passato a quella di Architettura, laureandomi poi con una tesi sui “Sassi” di Matera.

Ho potuto quindi vivere l’atmosfera di entrambe le facoltà in cui il Politecnico era suddiviso, quelle appunto di Ingegneria e di Architettura. Facoltà vicinissime fisicamente ma molto distanti mentalmente. Gli studenti dei due gruppi si incrociavano spesso in biblioteca, in libreria, al bar, alla mensa, ma tra di loro esisteva una grande rivalità, a diversi livelli. Intanto, il classico spirito goliardico crea sempre solidarietà tra studenti di uno stesso corso e antagonismo con gli “altri”; poi c’era l’invidia degli studenti maschi di Ingegneria - stragrande maggioranza nella loro facoltà - nei confronti dei colleghi di Architettura, dove invece la presenza delle studentesse donne era molto consistente e appariscente.

Ma c’era anche una profonda rivalità fondata proprio sui corsi stessi e sulle materie di studio. I futuri ingegneri denigravano gli studi architettonici, paragonandoli a un corso umanistico e artistico, deridendo gli studenti di Architettura e ritenendo che si occupassero più di arte che di scienza. Dal canto loro, i futuri architetti sminuivano i colleghi di Ingegneria, considerandoli aridi specialisti, appassionati solo di freddi dettagli tecnici.

Ad Architettura si potevano trascorrere i cinque anni universitari spaziando dal design di un cucchiaio al progetto di un quartiere residenziale (o, come nel mio caso, al restauro dei Sassi), mentre ad Ingegneria li si potevano impiegare tutti e cinque nella progettazione di un’unica turbina idraulica. Tra le due facoltà circolava un’espressione che sintetizzava ironicamente le due posizioni. Si diceva infatti che gli ingegneri, approfondendo sempre più aspetti su argomenti sempre più circoscritti, sapessero molto su poco, finché non finivano per conoscere tutto su niente. E che al contrario gli architetti, avendo una conoscenza superficiale su campi del sapere sempre più vasti, conoscessero poco su molto finché non finivano per sapere niente su tutto.

Questa dicotomia tra “molto su poco” e “poco su molto” mi ha riportato alla mente un libro di Alessandro Baricco letto un paio d’anni fa, dal titolo “I barbari”. Tra i vari argomenti trattati, Baricco affermava nel suo saggio che una novità dell’attuale epoca post-industriale consiste nella tendenza a essere più poliedrici ma più superficiali, a spaziare cioé su molti più aspetti della vita quotidiana ma meno in profondità.

A questo proposito, emblematici dello stile di vita odierno sono apparecchi come smartphones, tablets, iPhones, che consentono allo stesso tempo di telefonare, scambiare messaggi, scattare foto, girare video, ascoltare musica, leggere libri, leggere giornali online, navigare in rete con la conseguente disponibilità immediata di notizie, enciclopedie e tanto altro. Il tutto in pochi centimetri da tenere agevolmente in mano.

In confronto, gli strumenti di una volta erano più grandi, forse più robusti e resistenti, ma ciascuno di essi permetteva un’unica funzione. Coi telefoni (dapprima fissi a muro, poi da tavolo, infine portatili) si poteva solo telefonare, con le macchine fotografiche solo fotografare. Ascoltare musica, poi, è una delle attività che sono state maggiormente rivoluzionate negli ultimi anni. Nell’arco di una sola generazione si è passati dai dischi in vinile a 45 giri – che ci costringevano dopo ogni canzone ad alzarci, sollevare il braccio del giradischi, cambiare disco sul piatto, riabbassare la puntina – ai lettori mp3 che ci consentono di ascoltare centinaia di brani alla volta, senza scomodarci, stando a letto, guidando l’auto o facendo jogging.

Ascoltare radio e dischi, telefonare, guardare la televisione: tutte attività che fino a poco tempo fa erano del tutto separate ed estranee l’una all’altra. Ciascuna implicava propri gesti, proprie esigenze e anche un differente approccio mentale, così come gli apparecchi e le tecnologie erano diverse. Oggi, oltre ai dispositivi già citati che svolgono insieme tutte queste funzioni, sono spesso le stesse aziende fornitrici a offrirci questi servizi in unico “pacchetto”: telefonìa, radio, televisione, internet, tutto assieme.

Ma anche senza ricorrere alla tecnologia, l’allargamento degli interessi lo si ritrova anche in tanti altri aspetti della vita quotidiana: giornali e riviste allegano libri, dischi, cellulari e tanti altri “gadgets” alle proprie pubblicazioni; catene commerciali propongono vastissime gamme di prodotti svariati, spesso con lo stesso marchio; persino molte società sportive sono ormai imprese che gestiscono molteplici attività non solo di sport ma anche culturali e di intrattenimento.

Potrebbe sembrare un arricchimento, anzi lo è senz’altro. Di certo, la dimensione “orizzontale” si è sviluppata enormemente, ma ne ha sofferto quella “verticale”: di quanto abbiamo elencato, poco è trattato in maniera approfondita e molto resta a livello superficiale. La specializzazione è ormai un retaggio di altri tempi. Pare che tutta la società di oggi sia passata dalla facoltà di Ingegneria a quella di Architettura, come feci io tanti anni fa...

Le ragioni di questo cambiamento in atto nella società occidentale sono molte. Intanto, si tratta di un normale passaggio epocale, giacché niente è eterno. Come scrive ancora Baricco nel suo saggio, anche Beethoven e il Romanticismo furono considerati rivoluzionari e corrotti, quando apparvero all’inizio dell’Ottocento, in pieno Classicismo. Per la società aristocratica del tempo, i borghesi romantici erano i famosi “giovani di oggi” che corrompono la società e i suoi costumi. Dunque niente di strano, la Storia si ripete anche se con nuovi abiti e nuove tecniche.

Ma altri due aspetti possono aiutare a spiegare questo cambio di prospettiva, da verticale a orizzontale. Il primo è la globalizzazione, che provoca un livellamento di tutte le culture del mondo, anche grazie all’enorme diffusione dei viaggi rispetto a pochi decenni fa. L’altro aspetto è l’economia del consumo che a sua volta tende ad allargare quanto più possibile il mercato. Tant’è che “società occidentale” è in pratica sinonimo di “società consumistica”.

Un’altra conseguenza dell’appiattimento provocato dalla globalizzazione e dall’economia è la perdita di identità. Se qualcosa deve diventare universale e accessibile a tutti e dovunque, deve rinunciare a caratteristiche proprie originali che, in quanto tali, potrebbero escludere una fetta del mercato. Ovunque andiamo nel mondo troviamo gli stessi ristoranti fast-food, le stesse catene di negozi, gli stessi stili d’abbigliamento, gli stessi gusti musicali, persino gli stessi programmi televisivi. L’identità culturale sopravvive ormai solo in nicchie isolate, un po’ come le specie protette di animali in via di estinzione.

Omologazione e perdità di identità si trovano anche in oggetti di uso quotidiano. Le automobili di oggi hanno tutte la stessa linea aerodinamica, molto simili le une alle altre. I modelli storici della mia gioventù (come Citroën 2CV, Volkswagen Maggiolino, o Renault Dauphine che era una delle mie auto preferite) avevano una loro personalità e un loro carattere che non ritroviamo più nelle vetture di oggi. Nella mia fantasia infantile ognuna di esse aveva uno sguardo e un sorriso particolari, diversi da quelli delle altre auto. Qualcuno di quei modelli è stato recentemente rilanciato, in versione più moderna, proprio per quel pubblico (anzi, mercato) rimasto legato a quel design originale.

Tuttavia, come abbiamo visto, la mutazione in atto non è necessariamente negativa. O perlomeno non ha solo aspetti negativi. Le auto di oggi, ad esempio, sono (o dovrebbero essere) più sicure e meno inquinanti proprio grazie ai nuovi standard e alle nuove tecnologie.

Inoltre, grazie a internet e a motori di ricerca come Google o siti come Wikipedia, oggi è disponibile in pochi minuti qualunque informazione che un tempo richiedeva intere giornate di ricerca nelle biblioteche. Gli e-book ci permettono di racchiudere in pochi centimetri intere librerie che nel formato tradizionale non troverebbero posto nelle nostre case. Abbiamo sempre più informazione condensata in spazi sempre più ridotti.

Lo stesso vale per le raccolte musicali.

Ho già accennato al vantaggio di aggeggi come lettori mp3 e iPod che, analogamente agli e-book, ci consentono di salvare, ascoltare e guardare centinaia di brani musicali e video che non potremmo accumulare coi vecchi supporti di una volta, dischi in vinile o anche nastri magnetici. Con l’avvento delle musicassette si era avuto un leggero miglioramento, se non altro potevamo trascorrere dai trenta ai quarantacinque minuti (la durata di ogni lato della cassetta) senza dover cambiare disco a ogni canzone.

Ma la precarietà era sempre in agguato: dopo qualche mese di ascolto, il nastro immancabilmente si aggrovigliava e spesso non si riusciva più a riavvolgerlo nemmeno con la mitica penna Bic, perdendo così per sempre tutte le musiche registrate. Per fortuna, ho recuperato recentemente su YouTube vecchie canzoni della mia infanzia e giovinezza, molte delle quali non avevo più riascoltato da allora. E, come la madeleine di Proust, riascoltarle mi ha fatto l’effetto di un viaggio nel tempo (perduto), riportandomi indietro di quarant’anni o più e facendomi riprovare le stesse sensazioni di allora.

Eppure tutta questa abbondanza, questa accessibilità immediata in poco tempo e in poco spazio, alla fine rischiano di sminuire il “sex-appeal” di ciò che otteniamo così agevolmente. Come una donna di facili costumi diventa meno attraente rispetto a una dama schiva e inafferrabile, così informazioni troppo disponibili possono perdere interesse e valore per chi le cerca. Non per nulla l’oro è prezioso, proprio perché raro e difficile da trovare. Da quando posso ritrovare facilmente su YouTube tutte le canzoni della mia gioventù, la facile disponibilità ha fatto loro perdere l’effetto proustiano della madeleine.

Non mi soffermo sul confronto tra e-book e libri cartacei - con le loro copertine colorate e i loro odori – di cui molto è stato detto. Non aggiungerei molto al dibattito, in cui il compianto Umberto Eco, da poco scomparso, è stato uno dei protagonisti. Posso solo riferire ancora della mia soddisfazione e del mio godimento quando, in fase di decollo o atterraggio dell’aereo, io resto l’unico passeggero che continua tranquillamente a leggere il suo libro di carta, mentre tutti gli altri devono spegnere i loro tablets, e-readers e laptops...

È probabile che un giorno, se ci arriverò, mi convertirò anch’io agli e-book, così come mi sono già convertito da tempo ai nuovi formati musicali (peraltro aiutato dal mercato). Eppure, sebbene ancora legato ai vecchi libri di carta, riesco ugualmente ad applicare su di essi un concetto piuttosto moderno e tecnologico: quello dello “zapping”. Infatti, come si salta da un canale all’altro della TV a seconda di quello che viene proposto, così io non leggo mai un solo libro alla volta. Sullo scaffale accanto alla poltrona ci sono sempre almeno tre o quattro (a volte cinque) libri in corso di lettura, col segnalibri infilato tra le pagine. E così come l’ascolto musicale dipende dallo spirito del momento (melodica o ritmica, a seconda dell’umore triste o allegro), allo stesso modo nella lettura salto da un libro all’altro - anche nel corso di una stessa serata – e, in base allo stato d’animo del momento, apro il romanzo moderno, oppure il saggio storico, o quello scientifico, o magari un classico della letteratura. Tutti già iniziati, in fase di lettura e rilegati da copertine colorate, ognuna di colore diverso in base al genere letterario.

Uno “zapping” virtuale tra i libri dunque, in linea con l’orizzontalità moderna, con la stessa leggerezza con cui al Politecnico passavo dal cucchiaio al quartiere urbano. Eh già, avrei dovuto saperlo fin dall’inizio che non sarei stato capace di spendere cinque anni a progettare una turbina idraulica. Da buon figlio di questa società post-industriale, dunque, sorvolo in superficie senza scendere in profondità, più incline a conoscere poco su molte cose che ad approfondire molto su pochi argomenti. Il mio grande dubbio, a questo punto, è se poi finirò anch’io per non sapere più niente. Ma riguardo a tutto.


© Louis Petrella

Marzo 2016

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